CMT: la storia di Lucia
CMT: la storia di Lucia, una giovane donna che ha voluto condividere generosamente con noi la sua difficile storia. Affetta dalla malattia rara Charcot Marie Tooth, ha combattuto a lungo con il senso di impotenza, la paura, la solitudine, finché ha trovato il coraggio per provare a riprendere in mano la sua vita, attraverso un percorso psicoterapeutico mirato all’elaborazione dei suoi traumi, all’accettazione della sua condizione e al recupero e rafforzamento delle sue risorse personali.
CMT: la storia di Lucia
Sarà almeno la terza volta che provo a raccontare la mia storia. Scrivere non è mai stato un problema per me, soprattutto per esternare i miei sentimenti, ma questo è un argomento che neanche con carta e penna riesco a trattare facilmente.
Ho 35 anni e da 14 ho scoperto di essere affetta dalla malattia di Charcot Marie Tooth. Si tratta di una malattia rara che colpisce il sistema periferico, causando un indebolimento degli arti, sia superiori che inferiori, fino a comprometterne l’uso, nei casi più gravi.
Non vi è certezza per il futuro, puoi solo sperare che il peggioramento sia talmente lento da vivere in piena autonomia il più a lungo possibile.
Potete immaginare quale sia stata la mia reazione quando l’ho scoperto. I primi sintomi si erano già presentati 2 anni dopo la nascita, ma essendo la malattia non ancora conosciuta, mi era stata data una diagnosi generica di “neuropatia sensitivo motoria”: ero ignara a cosa andavo incontro e così ho provato a vivere una vita tranquilla, lontana dai pensieri e dalle domande che invadono la mia mente adesso.
Da piccola camminavo in punta di piedi e per questo sono stata emarginata dai bambini, che nella loro ingenuità mi vedevano come un ostacolo al divertimento e allo svolgimento dei giochi più attivi.
A 3 anni, a seguito di un’operazione chirurgica, ho cominciato a camminare normalmente e, quindi, a interagire.
Ciò che ho vissuto, però, mi aveva segnato talmente tanto che da allora ho sempre cercato di essere come gli altri volevano che fossi. Ancora adesso, anche il minimo difetto, sia questo fisico o caratteriale, mi crea disagio quando sono davanti ad altre persone.
Il pensiero di essere diverso e la paura, per questo, di non essere accettato, credo accomuni tutti coloro che sono affetti da una malattia. Non capiamo che in realtà i primi a non accettare ciò che siamo o che la malattia può farci diventare, siamo proprio noi.
Le persone ti vedono attraverso i tuoi occhi: se pensi di essere forte e sicuro, anche per gli altri sarai forte e sicuro; se pensi di essere intelligente, anche per gli altri sarai intelligente…. Con lo stesso concetto, se pensi di non essere malato, anche chi ti sta intorno ti tratterà come una persona sana e non sarà capace di notare le limitazioni che la malattia può portare.
Con questo, non dico che bisogna dimenticarsi di essere malati, ovviamente è impossibile e sarebbe anche sbagliato. L’accettazione è la soluzione: accettare di avere dei limiti ma comprendere anche di avere delle risorse, e trovare un modo diverso di gestire le situazioni.
Accettazione, io sono ancora lontana da questo concetto purtroppo. Le parole sopra sembrano scritte da una persona saggia, ma come si dice? “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.
Diciamo che già solo il fatto di essere riuscita a formulare questo pensiero è un grande passo per me.
Ero arrivata ad un punto in cui al centro dei miei pensieri e della mia vita c’era la malattia, veniva prima di tutto, anche di me stessa. La ricerca di risposte, di cure, di certezze, era diventata un’ossessione per me! Vivere nell’incertezza è ciò che più mi spaventa, è ciò che distingue una patologia conosciuta da una rara, è ciò che rende più arduo il compito di accettare di essere malati. Ti senti impotente, è come se guardassi da lontano un treno che viene verso di te, pronto ad investirti, e tu non potessi muoverti: nel tempo che ci impiega per raggiungerti tu sai ciò che potrebbe succedere e l’unica arma a tua disposizione è la speranza…. Sperare che decida di cambiare strada o che qualcuno intanto trovi il modo di fermarlo.
Sì perché questa è un’altra difficoltà con cui devi scontrarti tutti i giorni: pochissimi specialisti, a volte neanche presenti nella tua regione, conoscono i sintomi, ma purtroppo non le cure. Se siete ancora più sfortunati, come me, neanche tutti i sintomi sono conosciuti e così inizi a chiederti se sono frutto della tua immaginazione.
In questi 14 anni sono tante le frasi dette dai medici con cui ho dovuto, e devo tuttora, fare i conti. Sono il tipo di parole capaci di abbattere in un secondo tutte le barriere che con tanta fatica sei riuscita a costruire per non soffrire, per nascondere a te stessa di avere un problema.
Ad un certo punto, però, devi trovare il coraggio di dire basta! Basta con la tristezza, basta con le paure, basta con i disagi… vivere, e dico vivere non sopravvivere, con una malattia si può. Certo è un po’ più complicato, ma non dicono che le cose più belle sono quelle più difficili da conquistare?
É per questo che ho deciso di intraprendere un percorso psicologico volto a raggiungere finalmente l’accettazione! Di lavoro ne ho ancora molto da fare, ma i primi risultati non si sono fatti attendere: ho cominciato a riconoscere i miei limiti ma anche le mie risorse, a capire come gestire il mio lavoro e investire le mie energie senza trascurare la mia famiglia, a comprendere che il mio valore non dipende solo da quello che faccio e dimostro agli altri… e pensate un po’: il rapporto con il mio fidanzato si è talmente rinforzato che finalmente mi ha chiesto di sposarlo!
Condividere le esperienze, le sensazioni, le emozioni con qualcuno che come me soffre di una malattia rara credo che possa aiutarmi a trovare la forza che mi manca: combattere, vivere una vita quanto più normale possibile, accettare. Spero pertanto che aderirete anche voi a questa importante iniziativa, che condividiate anche voi le vostre storie, perché non siamo soli e insieme possiamo fare molto, far circolare le informazioni, aiutarci, confrontarci.
Se volete anche voi inviarmi le vostre storie, in forma anonima, potete contattarmi alla mail dott.laura.salvai@gmail.com
Attenzione: Per il rispetto e la tutela di chi ha portato la propria testimonianza, in questa storia è stato utilizzato un nome fittizio.